Gran parte delle sempre più frequenti denunce contro il mal di merito sono oggi orientate ai comportamenti anti-merito diffusi tra milioni di italiani e si focalizzano soprattutto sul settore pubblico e sulla politica. Ciò avviene anche perché nel settore pubblico, essenzialmente il governo, si vede un possibile soggetto responsabile al quale rivolgere le critiche.

Ma il cuore del problema è proprio che l’assenza di meritocrazia è parte integrante del sistema di valori di tutta la società italiana (e proprio per questo è così pervasiva), per cui tutti la notano e ne denunciano l’assenza, ma lo fanno nei confronti dei comportamenti degli altri, non dei propri. Quando tocca a ciascuno di noi scegliere tra merito e fedeltà/relazione personale-familiare, scegliamo troppo spesso la seconda, che è più facile, porta più favori/consenso/voti ed è l’unica scelta funzionale in una società basata sulla cooptazione anziché sul merito e sulla concorrenza. La frase “qui si va avanti solo per raccomandazioni e anche io, se non mi fossi cercato un aiuto dallo zio/onorevole/amico di famiglia, non ce l’avrei mai fatta” è emblematica di questo modo di pensare. La colpa è del “sistema Italia”, e l’italiano singolo è sempre la vittima. Manca la fiducia nella possibilità che il sistema crei le condizioni per cui il merito obiettivo e misurabile sia utile a progredire.

È quindi necessario un approccio di trasformazione culturale della nostra società che crei fiducia e definisca nuovi valori morali per influenzare comportamenti diffusi tra milioni di persone.

Meritocrazia” significa che i migliori vanno avanti in base alle loro capacità ed ai loro sforzi, indipendentemente da ceto e famiglia di origine e sesso. Ciò da noi non avviene e la cosa è ben nota. Meno evidente è però la distanza dei nostri valori morali nei confronti dei due sistemi di valore chiave dell’ideologia meritocratica – la piena responsabilizzazione degli individui e le pari opportunità orientate alla mobilità sociale – che sono assenti nella nostra morale, orientata invece ad indulgere con chi sbaglia e a condannare la disuguaglianza.ma se la condanna del divario tra i più ricchi ed i più poveri poteva avere un senso in un’economia agricola di un centinaio di anni fa, ha molto meno senso in un’economia postindustriale come quella nella quale ci troviamo. Condannare la ricchezza di pochi feudatari che sfruttavano il lavoro di migliaia di contadini aveva più senso che criticare oggi la ricchezza accumulata da Bill Gates.

Rompere il “circolo vizioso del demerito” non è possibile senza una nuova leadership che si appropri di questi nuovi valori morali e che li diffonda, sostituendo la spaventosa gerontocrazia sociale ed economica che soffoca la fiducia nel merito per il solo fatto di essere dove si trova. Il cambiamento avverrà quando un numero sufficiente di semi germinerà negli snodi fondamentali della nostra società, raggiungendo quella massa critica che renderà il cambiamento inarrestabile, rapido e irreversibile.